Feticismo
Chiamateli esteti...

Feticismo: si definisce così lo spostamento della meta sessuale dalla persona viva, nella sua interezza, ad un suo sostituto, sia a ciò che la sostituisce, ad esempio una parte del corpo stesso, o una qualità, un indumento o qualsiasi altro oggetto.
Il termine feticismo deriva dal portoghese. Quando nel XVIII secolo i mercanti di schiavi portoghesi entrarono per la prima volta a contatto con le religioni animistiche dell'Africa, applicarono agli oggetti di culto animistici il termine feitico, derivato a sua volta dal latino factitius, artificiale. Il significato originario era quindi quello di "oggetto prodotto mediante un procedimento tecnico" che raffigura e sostituisce una forza della natura, ad esempio la fertilità, la potenza virile, l'attitudine alla procreazione”.
Perché chiamarli feticisti?
In realtà questi signori sono degli estimatori. Degli esteti. Dei raffinati cultori di dettagli umani, dagli altri (la massa) generalmente disprezzati. Dei fortunati mortali i cui cinque sensi si sono particolarmente sviluppati. Un esempio?
L’olfatto. Il feticista dell’olfatto adora quei profumi naturali, quegli effluvi corporei che, spesso e volentieri, vengono azzerati da quei prodotti industriali chiamati deodoranti. Inguine, ascelle, estremità, e altro ancora: le zone che, in genere, vengono trattate e svilite dall’attuale società, dal feticista tornano sul trono che spetta loro: il primitivo. L’ancestrale. Il naturale. Il vero.
Il feticista dell’occhio, poi, ha tutta una sua teoria nobile e culturale. Il voyeurismo sembra un termine dispregiativo. E allora che fine fanno i fotografi? E i registi? E gli stessi pittori? E le produzioni indimenticabili del Caravaggio, che spiava con occhio cupo, ma passionale, i movimenti emotivi dell’umanità? Il voyeur guarda. Alberto Moravia diede il titolo “L’uomo che guarda” ad uno dei suoi libri migliori. Ma non è solo la firma di Moravia a nobilitare questo piacere. Chi è feticista dell’occhio porge un continuo omaggio a bellezze magari trascurate, a momenti fino a poco prima disprezzati. L’infilare di una calza, il sollevare di una gonna, lo spostare capelli corvini: questo e tanto altro basta ad un voyeur, e non si dica che è peccato. Anzi, sarebbe peccato ignorare questi gesti.
Un capitolo a parte spetta al feticista dell’epidermide. Colui al quale basta uno sfiorare pelle, un sgualcire stoffa per godere di questo piacere unico. Un capitolo di Seta di Alessandro Baricco basterebbe a spiegare cosa c’è dietro un palpeggiare con soavità. Il liscio della seta, lo spessore di un velluto, il ruvido di una superficie appena rasata, il trasudare umido di un piacere attraverso collant o pantaloni: eccolo il feticismo del tatto. Cosa c’è di più sottilmente sublime?
Per il feticismo del gusto basterebbe rifarsi al piacere del cibo. Ma sarebbe banale, scontato. Dietro ad un brivido del palato c’è molto di più. C’è quell’assaporare che non è ingoiare alla cieca, ma un riproporre e rivivere una, dieci, cento, mille volte un gusto che è anche una storia. Un boccone di carne, una noce di mollusco, una nuvola di panna, ma anche una dolce saliva, un salino sudore, un labbro increspato, un’asprigna vulva. E ci sarebbe da dire molto ancora.
Sull’udito il feticismo classico si sofferma poco. Sarà perché chi origlia e gode sa di vecchio sporcaccione, e invece se esistono musicisti eccelsi, è legittimo che esistano anche voyeurismi acustici. Le orecchie sono le stesse: peccato che i suoni depositati al loro interno vengano giudicati diversamente.
Articolo scritto da Monica Maggi
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